Nelle Poste e nelle banche i lavoratori sono privi di misure di sicurezza
Morti e contagiati agli sportelli e tra i postini
L’Italia è in piena emergenza coronavirus, l’epidemia si è ormai estesa a tutta la penisola.
Al Sud, nonostante la situazione sia decisamente meno grave rispetto al Nord, la gente inizia a preoccuparsi, ad avere paura.
Il fragile sistema sanitario meridionale non sarebbe in grado di garantire strutture ospedaliere sufficientemente attrezzate qualora il numero dei contagiati dovesse improvvisamente aumentare; per questo motivo risulta fondamentale contenere la diffusione del virus restando a casa il più possibile e uscire solo per comprovate necessità, salvaguardando così la propria salute e quella degli altri.
Ma c’è chi è inevitabilmente costretto ad andare a lavorare tutte le mattine, come i dipendenti di Poste Italiane, che per garantire il proseguimento del pubblico servizio devono necessariamente rapportarsi ogni giorno con colleghi e cittadini; il rischio di contrarre il Covid-19 per poi trasmetterlo inconsapevolmente ad altri, resta elevato.
A Bergamo, sono già due i lavoratori postali che hanno perso la vita a distanza di pochi giorni, uno lavorava in un centro recapito, l’altro in un ufficio postale. Prima che venisse diffuso il comunicato della loro morte da parte della Slc-Cgil, più volte era stato evidenziato come il numero di contagiati tra gli operatori di sportello e tra i portalettere iniziava a diventare un dato preoccupante.
Pertanto, i sindacati confederali e “di base” invitavano l’azienda ad adottare il prima possibile le misure necessarie a mettere in sicurezza i suoi dipendenti.
Bisognava distribuire a uffici postali e filiali bancarie aperte su tutto il territorio nazionale mascherine a norma (ormai introvabili) guanti e gel igienizzanti per le mani; sanificare periodicamente ambienti e strumenti di lavoro, compresi filtri e areatori; installare vetri separatori in plexiglass in tutti gli uffici “layout” aperti; garantire i soli servizi essenziali, specificandoli. Invece, sono mancate le direttive giuste, si è preferito rimodulare i turni andando al risparmio, il risultato ad oltre un mese di distanza dalla diffusione dell’epidemia è sotto gli occhi di tutti: parecchi dipendenti sono stati contagiati e tanti altri sono finiti in quarantena.
L’ultimo protocollo firmato a Roma il 14 marzo scorso ha messo in evidenza ancora una volta il totale asservimento dei sindacati confederali ai padroni. In una lettera inviata alla Direzione delle Poste le tre segreterie confederali di categoria si sono limitate alla blanda protesta: “Riscontriamo ancora fughe in avanti da parte delle principali Divisioni di Poste Italiane, attraverso atti e scelte gestionali di certo in controtendenza rispetto al più volte pronunciato principio della salvaguardia dell’incolumità fisica dei Lavoratori, quale bene primario da tutelare con ogni iniziativa possibile”,
La sicurezza nei luoghi di lavoro al contrario di quanto affermato da Landini continua a non essere garantita, la normativa non viene rispettata.
Sono ancora troppe le criticità che si registrano negli uffici e nei centri smistamento di tutta Italia e negli sportelli delle filiali bancarie aperte. Tra gli impiegati sta crescendo di giorno in giorno un profondo disagio, un misto di rabbia e paura che potrebbe sfociare in una protesta diffusa, difficile da arginare: dopo la morte dei due colleghi chiedono la chiusura di tutti gli uffici, prima che sia troppo tardi.
Nel proclamare lo sciopero generale per il 25 marzo, l'Usb accusa il governo Conte di subalternità verso Confindustria e denuncia: “Non è chiaro quali ulteriori misure di salvaguardia del personale che resterà in servizio si intenda adottare per far sì che chi è obbligato a lavorare lo faccia con la massima sicurezza possibile.” Lunedì 23 anche sindacati bancari hanno minacciato lo sciopero: “Abbiamo scritto all’Abi (l’associazione bancaria, ndr ), a Federcasse e, per conoscenza, al premier Conte, denunciando come i dipendenti del settore, tra i quali si registrano molti casi di positività, non operano in condizioni di sicurezza”.
Questo è il trattamento che l’azienda Poste - come scritto più volte su “Il Bolscevico” - riserva ai suoi dipendenti che dopo le disastrose perdite di bilancio degli anni passati hanno saputo risollevarne le sorti. Una società per azioni in grado di spremere utili da miliardi di euro l’anno che tutela la salute dei suoi dirigenti facendoli lavorare comodamente da casa e mette a rischio quella di chi opera in prima linea - carne da macello.
No, non siamo tutti sulla stessa barca!
L’emergenza corononavirus non ha fatto altro che accentuare l’antagonismo inconciliabile tra borghesia e proletariato, tra capitalisti e lavoratori, tra sfruttatori e sfruttati. In un momento storico così delicato e preoccupante per il nostro paese e per il popolo italiano, i marxisti-leninisti italiani continueranno a ribadire con forza che la lotta di classe deve continuare, non può fermarsi: la salute dei lavoratori viene prima del profitto!

24 marzo 2020